giovedì 21 dicembre 2017

Scappo di casa e mi perdo nel Sahara - ultimo atto

Sono scappata di casa e mi sono persa nel Sahara veramente

Sono scappata di casa perchè ho rotto l'abitudine col mio mondo, oramai da parecchi anni e quando si rompono le abitudini è sempre un piccolo shock.
A volte bastano pochi giorni per respirare; ho la fortuna di avere l'Abruzzo a pochi passi da casa, così quando il clima e il tempo materiale lo permettono stacco la presa e parto due giorni, ma l'Abruzzo è sempre in Italia e per quanto sia un posto selvaggio e bello non riesce a rompere le abitudini.
Per rompere le abitudini a volte bisogna andare lontani da casa per confrontarsi con culture e abitudini diverse; così ho scoperto mondi distanti e mi sono resa conto che ogni volta che tornavo poi le cose sembravano diverse e così ho continuato e alla fine ho deciso di rompere completamente lo schema di viaggio e ho cominciato a pensare di viaggiare in mondi ancora diversi e così sicuramente cambierà ancora lo schema e così via.
A volte poi non bisogna aspettare di tornare a casa per vedere che le cose cambiano, perchè succede già durante il percorso, come è successo in quest'ultimo viaggio.

Mi sono persa nel Sahara perchè amo i deserti e penso di aver già esaurito le parole per spiegare la motivazione; ma mi sono persa nel Sahara anche perchè era il posto più vicino e più distante che riesco ad immaginare. Vicino perchè geograficamente è dietro l'angolo, distante perchè fino ad oggi mi ero confrontata con culture più o meno simili a me, perchè di questo posto molto turistico in realtà non si sa niente e perchè basta per il momento viaggi in occidente. 
E mi sono persa davvero e questa è una cosa che capita spesso quando si decide di cambiare in continuazione percorso, è una cosa che ho imparato col tempo, ci ho messo anni a capire che era molto più bello perdersi e non seguire un tracciato. 

In questo blog raccolgo pensieri, non mappe. Qui dentro trovate pezzi di vita che nessuno può ripercorrere, perchè ovviamente sono frutto di esperienze personali, ma li racconto nella speranza di far capire che un viaggio così è possibile per tutti
Magari non saranno le stesse esperienze, magari saranno anche più belle di queste, però bisogna partire e non stare solo a leggere; quindi partite con gli occhi aperti e la mente spalancata perchè è un bellissimo modo di perdersi nel mondo, magari con un pò di fortuna la strada per tornare a casa nemmeno la trovate più.

Scappo di casa e mi perdo nel Sahara - ultimo atto

La strada asfaltata è un segno scuro di catrame che visto da un satellite fa pensare che ai suoi bordi non ci sia nulla, in realtà c'è tutto il mondo che ho raccontato in queste ultime settimane.
Io la raggiungo con un sorriso ben visibile, sono felice perchè ho appena realizzato uno dei sogni della mia vita (percorrere almeno un pezzo della Parigi-Dakar) e perchè sono stanchissima e ho bisogno di una doccia, un letto vero e un pasto che non sia contaminato con granelli di sabbia che frantumano i denti ad ogni morso e anche perchè quei 25 litri di acqua che pazientemente ho trasportato in questi ultimi giorni sono finiti.
Mi sento talmente sicura, adesso che sono fuori dalle piste, che anche se il primo villaggio si trova a 20km dal punto in cui mi trovo, quell'ultimo mezzo litro di acqua che ho conservato fino alla fine decido di berlo perchè ho la gola completamente secca e le labbra spaccate dal sole e sono più che certa che in mezz'ora la massimo potrò avere tutta l'acqua che voglio.
Se c'è una cosa che continuo a non imparare da ogni viaggio è che la presunzione è un'arma a doppio taglio: da una parte forse è quella che stimola l'umore e che permette di fare ciò che non si fa nella norma (tipo 100km al giorno, a 40° sotto un sole che brucia e distrugge cellule, con un carico di 50kg posizionato tra schiena e bici), dall'altra fa commettere errori gravissimi (tipo rimanere senz'acqua).

Non è che finita la pista cambia la temperatura e cambia il sole, quelli sono gli stessi, solo che il cervello pensa che essendoci una strada asfaltata allora il pericolo di disidratazione non sussiste.
Il vento che fino a un attimo prima mi spingeva aiutando notevolmente la mia andatura, adesso era esattamente in direzione contraria, ecco così che 20km in 30 minuti diventano 20km in 4 ore e intanto il corpo perde liquidi e di la non passa proprio nessuno.
Quando il corpo si disidrata a me succede che si affacciano alla mente tutta una serie di pensieri assillanti e autoumilianti per cui alla fine gambe e braccia decidono di fare quello che vogliono, ogni due km mi devo fermare e cose del genere.
In realtà il mio viaggio non è ancora finito, mi mancano tipo 700km, quindi bere da un pozzo potrebbe causare dissenteria e mettermi in difficoltà i giorni seguenti, decido di resistere alla tentazione di bere l'acqua che ho raccolto in un pozzo tempo prima, che mi porto dietro con l'unico scopo di utilizzare solo in caso di reale necessità; ma camminando, visto che il vento non mi permette di pedalare, realizzo che all'orizzonte ci sono delle abitazioni e la speranza si riaccende.

Mi trovo così a bussare a casa di una famiglia in cerca di acqua potabile. Mi viene offerta un'anfora dalla quale bevono tutti, l'ho vista in diverse occasioni, quindi sono abbastanza certa che si tratti di acqua potabile, il cervello si rifiuta di avvisarmi di quello che mi è noto da sempre, cioè l'acqua che bevono loro è presa dai pozzi, quindi in realtà non è potabile. Prima di accorgermi del retrogusto metallico e sabbioso ne ho mandato giù più di un sorso e la consapevolezza di quello che stavo ingerendo comunque non ha fermato l'istinto di idratazione.
Qualche ora dopo, appena trovato un posto dove dormire, ho passato l'intera serata chiusa in bagno. 
Si vede che i miei anticorpi sono belli attivi perchè l'indomani sto come nuova, o quello o un miracolo e io non credo nei miracoli.

Zagora è l'antitesi di tutto quello che ho vissuto gli ultimi giorni, c'è di nuovo gente ovunque, ai lati, al centro della strada, indaffarati in commerci vari o seduti all'ombra a non fare nulla, così anche le città o i villaggi successivi, realizzo quindi che sto veramente tornando a Marrakech.
Quello che vedo la mattina quando mi sveglio l'ho già vissuto, ci sono le montagne dell'Alto Atlante che mi aspettano, ci sono di nuovo vecchi camion stracolmi di persone che zigzagano pericolosamente lungo la strada in curva, c'è di nuovo tutta una serie di personaggi assurdi che mi aspetta agli ingressi dei villaggi, alcuni insistono perchè compri i loro oggetti, altri mi spingono, altri mi guardano e basta, però ho la forte sensazione che stavolta lo sto vivendo in modo diverso. Forse mi sono abituata a quel casino, o forse è il mio atteggiamento che è cambiato. Adesso mi fermo a parlare con loro, rido e scherzo, in un villaggio le anziane mi riempiono le tasche di datteri, in un altro una specie di edicola mi regala un piatto di carne in cambio di una chiacchiera, in un altro ancora mi siedo per bere un tè e comunico a gesti con un vecchio sdentato e simpatico, in uno incontro un tipo che avevo incontrato in un altro villaggio e lui si sbraccia e mi chiama per nome e penso che le coincidenze sono davvero assurde, i ragazzini no, quelli continuano a tirarmi le pietre, però adesso che ho scoperto il trucco del lucchetto sembra tutto più facile.

Insomma le giornate passano veloci anche se il vento continua ad essere contrario, mi dicono che lì fa vento forte tre giorni all'anno ed evidentemente il karma deve avermi punita in qualche modo, però adesso che ho risolto i miei conflitti interni nemmeno il vento può darmi fastidio, non fino a quando inizio la salita reale, quella che punta dritto ai passi di montagna.

Ho passato l'intera giornata a pedalare contro vento, 12 ore contro vento, quello che avrei potuto fare in 8 ore al massimo, con tutte le soste anche quelle che non potevo permettermi, l'ho fatto in 12 ore no stop contro questo c. di vento; c'è da diventare pazzi. Le salite bene o male, riuscendo a leggere le carte sai sempre quando finiscono, il vento no, quello può durare un'ora, due o tutto il giorno e tu non lo saprai mai, per questo ti sembra di impazzire.
Arrivo al punto in cui la strada è la stessa che ho fatto un paio di settimane prima. So per certo che esiste un villaggio di nome Ait Ben Haddou, che negli ultimi anni ha fatto il botto e adesso è piena di alberghi di lusso, lo so perchè spacciandomi per guida turistica quella volta che ho incontrato lo spagnolo ho dormito a scrocco in una struttura, che non era a 5 stelle, ma faceva schifo uguale e il solo pensiero di riaffacciarmi li mi disturba più del vento.


La strada divide in due il posto, da una parte gli alberghi, i turisti, i venditori ambulanti che diventano ossessivi, i soldi; dall'altra parte la miseria più totale.
Mi fermo e non capisco niente perchè dopo quelle 12 ore a spingere è già buio e ho il morale sotto terra e non ho voglia di cercare un posto dove dormire. Vedo le luci di Ait Ben Haddou che illuminano il profilo dei ruderi mentre io rimango avvolta dal buio ,penso di temporeggiare ma che quello è l'unico posto dove dormire, sempre perchè piantare la tenda vicino luoghi turistici può risultare pericoloso.

Una ragazza e sua madre mi salutano sedute su un masso polveroso. La ragazza si chiama Zahara, non parla francese, solo le espressioni basilari, ma ci capiamo, in fondo nemmeno io parlo francese, mi invita subito a casa sua, ma prima aspettiamo la sua bambina che torna dalla scuola.
Zahara in realtà non ha una casa, ovvero ce l'ha ma ha una stanza solamente ed è senza tetto; il bagno è delimitato da mattoni forati e la doccia è un secchio di plastica che viene riempito da un pozzo. In quella stanza vivono Zahara, i suoi tre figli, la madre e il fratello. Suo marito lavora a Marrakech, in un riad e si vedono una volta ogni due settimane. Le faccio vedere la cartina ma lei non sa dove ci troviamo, lei non ha idea in che parte del mondo ci troviamo.
Mi chiede se voglio fare un giro nel villaggio e allora percorriamo la strada, più o meno 500m tutta, tra polvere e case diroccate, tutti salutano, anche se si riesce a vedere ben poco, in qualche modo si riconoscono, arriviamo in fondo alla strada e torniamo indietro, Zahara non è mai stata a Marrakech, Zahara non è mai uscita da quella strada.
Tra tutte le notti in cui ho dormito a casa di sconosciuti quella per me rimane la più assurda.

Pochi sanno che cosa è la notte.
Di notti ne ho vissute tante durante i miei viaggi, spesso insonni, per questo la conosco bene.
Per la maggior parte di noi è un tempo vuoto, il tempo in cui si dorme e tutto passa sopra.
Eppure le notti non sono tutte uguali. Ogni fase della notte si differenzia per sfumature, dell'aria, del colore del cielo, degli odori, della posizione delle stelle e della luna, dell'intensità del vento; non a caso per gli antichi greci e romani la notte si divideva in quattro parti, corrispondenti alle Vigilie.
La prima parte era il Vespera appena dopo il crepuscolo, un momento dove i suoni e i rumori sono il prolungamento del giorno appena trascorso; poi c'era la Media nox dove il buio regna totale ma profumi e odori conservano ancora un certo tepore, il corpo si rilassa e la natura prende il sopravvento; il Gallicinium era l'ora del canto del gallo a notte profonda, dove le voci diventano sussurri e la mente vaga intorno ai ricordi della giornata: la conclusione avviene al Conticinium, quando il gallo tace e l'inquietudine prende il sopravvento, appena prima dell'alba le ore in cui nulla si muove.
Di notte avvenne l'ascesa al cielo di Maometto, in sella a Buraq, il destriero magico dal volto di donna che lo portò fino al cospetto della pura volontà di dio; sempre di notte il cavaliere medievale di preparava all'investitura, indossando abiti bianchi per purificarsi con lunghe ore di veglia, solitudine e preghiera; e ovunque nel mondo la notte appartiene agli spiriti e media il contatto tra l'uomo e il soprannaturale. (cit. Paolo Novaresio)
Per approfittare della notte bisogna essere liberi da impegni pratici e mentali e questo avviene sopratutto quando si è lontani da casa, per questo la notte appartiene anche ai viaggiatori.
Ci sono notti fredde, notti tiepide, brevi o che sembrano non finire mai, dolci o terribili. Ma nella mente del viaggiatore la notte è sopratutto un luogo, un posto dove ci si ferma, una tappa lungo il percorso; spesso solo un'immagine, un frammento di mondo rimasto impigliato nello sguardo.
C'è chi nella notte ricorda la cresta sinuosa di una duna illuminata dalla luna, nel bel mezzo del Sahara, niente fuoco, nè luci, tutto intorno la terra scricchiola, si contorce come fosse viva; sono i Djenoun, dicono i Tuareg, gli spiriti delle terre desolate che si ridestano, e io posso crederci, anche se non sono portata a crederci, solo perchè è tremendamente vivo tutto quello che sta intorno a me.
C'è chi ricorda il rumore delle pareti di ghiaccio, quel ghiaccio stridulo che si assesta e riempie il vuoto della notte, che altrimenti sembrerebbe assente, ma si può scrutare l'oscurità fin che si vuole, non esiste paesaggio, la notte ha inghiottito ogni cosa, del mondo non resta altro che il luccichio di quella montagna, immateriale.
C'è una gerarchia delle notti: ce ne sono di ordinarie e importanti, e poi ci sono le notti fatali, che coincidono con l'accadere di qualcosa, sia un evento, un pensiero o un incontro, ma quelle notti non si possono esprimere, nè raccontare.

Mi hanno offerto un tè perchè era tutto quello che avevano in casa, siamo andati a dormire alle 9 di sera perchè non hanno candele per fare luce, avvolta dentro un materasso, senza un tetto sopra non riuscivo a vedere niente perchè le luci degli alberghi a 18 stelle dall'altra parte della strada, dove i soldi girano e ne girano troppi, inquinano il cielo e non si vedono stelle, non riuscivo a dormire perchè continuavo a chiedermi come è possibile un simile paradosso: due mondi opposti e paralleli divisi da una strada.

Di notti insonni ne ho vissute tante, ma questa è una di quelle che posso definire fatali






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